Questo disco non è un concept. Si tratta di una selezione di otto canzoni scritte, registrate e prodotte tra il 2019 e il 2023.
In questo arco di tempo fortemente caratterizzato dalla pandemia globale, mi sono ritrovato a scrivere molte canzoni senza avere un piano preciso su ciò che avrei voluto farne, e soprattutto senza alcun condizionamento autoimposto e senza una precisa, apparente direzione.
L’unica cosa che sapevo era che volevo tornare a scrivere concentrandomi molto sulla musica, oltre che sui racconti. Volevo ritornare a giocare con gli arrangiamenti e non impormi vincoli nel cercare di raccontare le mie storie.
Difatti assieme alla scrittura delle canzoni ho da subito iniziato a lavorare sui loro arrangiamenti nello studio di casa, utilizzando le mie chitarre e sperimentando con qualunque strumento mi passasse per le mani.
Mi sono ben presto reso conto che ogni canzone aveva una propria e precisa identità e che ciascuna storia, per essere raccontata, aveva bisogno di suggestioni diverse.
Una volta registrati in autonomia i provini di circa venti canzoni mi sono fermato e le ho lasciate in una cartella, a decantare.
Dopo qualche mese, decido di riascoltarle, e rimango colpito da alcune di queste. Sono otto storie, una diversa dall’altra. Decido di portarle a termine e di raccoglierle assieme in un disco.
Nel frattempo, l’emergenza pandemica inizia a calare e così ricomincio a collaborare con vecchi e nuovi amici che mi aiutano, ognuno attraverso le proprie capacità e il proprio gusto, a finalizzare i miei provini e farli diventare le canzoni di questo disco.
Anche in questa fase non mi sono imposto limiti di sorta e ho collaborato con chi, a seconda della necessità di ogni racconto, avrebbe avuto il piacere e la giusta sensibilità per aggiungere un tocco in più a ciò che io avevo già imbastito.
Ecco che alcune canzoni sono state prodotte nuovamente, sulla base dei miei provini, assieme all’amico musicista Tomaso Delfino, alcune sono state arrangiate e registrate dal produttore milanese Massimo Caso, ed altre sono rimaste tali e quali alle mie bozze, con l’aggiunta del basso di Damiano Ferrando e il lavoro di missaggio di Daniele Mandelli.
È nato un disco dalle sonorità molto eterogene, composto da otto storie, unite assieme dalla volontà di essere raccontate per quello che sono, con sincerità e passione.
Il titolo del disco, “A quello che vedo non credo per niente”, è una frase contenuta in “Due come noi”, la canzone che apre il disco.
Ho trovato questa frase molto interessante, perché racchiude in sé alcuni concetti semplici, ma molto importanti: mai fermarsi alla superficie delle cose, guardare la realtà buttando via i filtri, e ascoltare e credere sempre a ciò che si prova.
La copertina del disco è una fotografia scattata a Noli (SV) da Luca Parodi ed è nata un po’ per caso in maniera quasi involontaria, durante una sessione di shooting di un video promozionale che avrebbe dovuto essere di supporto ad un singolo.
Il video in questione non è mai uscito ma, scartabellando nell’hard disk qualche settimana dopo aver deciso il titolo del disco, ho trovato quest’immagine e l’ho pensata perfetta per supportare il titolo che avevo scelto.
In copertina la metà di un frutto essiccato, l’Araujia, i cui fiori sono al tatto delicati come la seta. Sullo sfondo un panorama di nuvole calde e sinuose, tracciate con fare d’artigiano, e un mare profondo. Quasi una sciarada, o un rebus, la copertina di “Le nuvole si spostano comunque”, il nuovo disco di Edoardo Chiesa a due anni abbondanti da “Canzoni sull’alternativa”, il fortunato debutto a cui è seguito un tour di un centinaio di date.
Seta, nuvole, mare. “Quando ho deciso di dedicarmi ad un nuovo disco – racconta lui – avevo ben chiaro in mente che cosa volevo. Si trattava di fare un disco che, rispetto al primo, si muovesse di più sulla sfera emotiva e lo facesse con pochi ma efficaci elementi. Volevo che i suoni al suo interno fossero reali e caldi e che il cantato non urlasse, ma raccontasse. Volevo qualcosa di semplice ma allo stesso tempo potente e vero”. Cioè dieci canzoni di cantautorato pop interamente acustico, chitarra-voce (il titolare), batteria (Andrea Carattino), basso (Damiano Ferrando) e nient’altro, se non un’attenzione al dettaglio determinante e al calore del suono ottenuti con una registrazione in presa diretta e su nastro – quest’ultimo passato fra le sapienti mani di Luca Tacconi del Sotto il Mare Recording Studios di Povegliano Veronese (VR). Perché in fondo “il moderno metodo multitraccia fa diventare la registrazione un atto quasi chirurgico, privo di alcuna magia e interazione tra i musicisti.”
Power trio elegante ed emozionale quello del cantautore savonese: un suono modernista giocato su una tensione ritmica che si scioglie nel ritornello insieme ad una voce verace e leggermente screziata rispetto al passato. Un allontanamento dai suoni roots dell’esordio verso una concentrazione pop da manuale, la tradizione cantautorale nostrana ben presente, il basso a spargere buone vibrazioni marine, un songwriting delicato ma intenso quando serve, la chitarra setosa, verso dopo verso quelle cinque-sei parole messe in fila come si deve, solo leggermente poetiche, spesso quotidiane, immediate. E un’inquietudine di fondo che sfocia in una serenità conquistata: “don’t worry, be happy” che tanto, appunto, le nuvole si spostano comunque, no?
La tracklist apre con l’uno-due fascinoso di “Occhi” (una canzone d’amore, anzi una canzone sulla necessità dell’Altro) e “Dietro al tempo” (un vagheggiare filosofico da commozione) che mettono subito in chiaro, a suon di curvature melodiche mai troppo pronunciate, cosa significa fare un disco semplicemente con tre strumenti e sfruttarne tutte le possibilità espressive.
Da lì in poi è un passaggio di scoperta in scoperta, del resto “queste canzoni sono nate come piccole epifanie” e tali rimangono se è vero che ascolto dopo ascolto questi brani svelano sempre qualcosa in più. Magia, rabbia, stupore, domande. “Il Filo” tirato per andare controcorrente rispetto alla superficialità social(e); “Se fossi in te” a sputare fuori il rospo che rimane in gola dinanzi a chi ha tutte le risposte e le sicurezze; “La chiave” a riassumere tutto come in un gioco enigmistico. E infine l’amore, vedi la splendida chiusa di “Un’altra vita”, canzone che chiunque vorrebbe sentirsi cantare, con quel tanto di lieve semplicità che si porta dietro. Un qualcosa che è apparentato con la verità di stare al mondo. La guardi, ed è una nuvola infuocata. La tocchi, ed è seta.
“Le alternative, in particolare quelle desiderabili, crescono solo su alberi immaginari” scrisse il narratore americano Saul Bellow. E mai citazione migliore poteva scegliere Edoardo Chiesa per fotografare il suo debutto da cantautore pop “Canzoni sull’alternativa”. Un disco breve, otto canzoni per poco meno di mezz’ora di musica, ma che dice tutto sull’immaginario e la propensione melodica del songwriter ligure, chitarrista dalle svariate esperienze in area rock-blues ed ex componente della band Madame Blague.
Le “Canzoni sull’alternativa” derivano da una serie di riflessioni che Edoardo ha fatto su sé stesso e girano tutte intorno al tema della scelta. Paradossalmente però questo disco non nasce da una vera e propria decisione del loro autore. I brani infatti sono nati in maniera istintiva, chitarra e voce, in un periodo di tempo piuttosto breve e sono stati loro stessi, ad un certo punto, a reclamare ad Edoardo “l’esigenza” di racchiudersi in un disco. E così alla fine è stato: tramite l’utilizzo di una vecchia Tascam, Edoardo ha registrato queste otto tracce fra la sua casa e il garage.
Dentro “Canzoni sull’alternativa” Edoardo Chiesa ha messo prima di tutto la sua grande passione per il blues, ma anche il funk e il soul. Una fiamma, quella per le musiche roots, che ritorna anche nella scelta di un suono verace, poco prodotto, ma allo stesso tempo molto vario e colorato.
Gli arrangiamenti, che Edoardo ha scritto e curato, puntano a vestire i brani in maniera semplice ma incisiva, basandosi su un impianto ritmico solido dentro cui si muovono melodie, narrazioni e fantasie. Le canzoni raccontano anche la passione di Edoardo per il cantautorato, che lui rilegge con un gusto melodico attraente ma mai troppo ruffiano; melodie semplici ma sempre un po’ oblique, che chiedono ascolto e danno conforto.
Si è formato così il puzzle colorato di “Canzoni sull’alternativa”. Un lavoro immediato ma solo apparentemente semplice, leggero ma tutt’altro che superficiale, anzi pensoso, sfaccettato. Proprio come la figura geometrica della copertina, che vuole rappresentare la molteplicità delle nostre scelte di tutti i giorni. Quelle alternative di cui parla la programmatica title-track e primo singolo “L’alternativa”, decisioni che pur presenziando e condizionando la vita di tutti i giorni alla fine, forse, non spostano mai veramente l’ago della bilancia perché “non affrancano l’uomo da ogni dovere di decidere di se stesso, non lo liberano dalla libertà”.
Quella libertà da coltivare dentro un amore stralunato e assoluto (“Pioveva”, “Queste quattro sfere sporche”) o da difendere da una quotidianità che soffoca (“Se non fossi già stato qui”) e dalle paure che ci bloccano (“Mia paura”). Oppure la libertà di essere sé stessi, lontani dalle convenienze e dai calcoli, immaginari e meditativi, leggeri e intensi, proprio come le canzoni di Edoardo, piccoli gioielli che luccicano come alternative alla banalità: “Ti rispondo / Quasi sempre a casa parlo da solo / gioco a biglie coi giganti dopo canto con loro / e mi annoiano i discorsi sulla gente e sul tempo che fa / E non sai che / Quasi sempre a pranzo mangio da solo / lancio i sassi nello stagno poi rimbalzo con loro / e mi mancano i sentieri in collina lasciati a metà” (“Ti rispondo”).